Educativa di strada

Insegnante Feldenkrais, educatore sociale culturale

Un lavoro per pochi educatori

Dal 2000 al 2004 ho lavorato per il Comune di Cesena nel Progetto Giovani “Rubinroad” che si sviluppava su 5 Comuni: San Mauro P. Savignano sul Rub. Longiano Gambettola e Gatteo. In quell’occasione parte del progetto prevedeva l’educativa di strada. E’ una cosa strana da spiegare ai non “addetti ai lavori” ma per me è bellissima e importantissima.

Dopo quell’esperienza ho progettato tanti altri microprogetti con i giovani; a dir la verità prima facevo i progetti e poi li scrivevo, li documentavo.

L’Educativa di Strada credo sia uno dei lavori più complessi per un educatore, ma lo reputo profondamente importante. Ora sicuramente la metodologia è da rivedere e adattare ad un mondo, quello adolescenziale, che cambia in modo molto veloce.

I principi però di questo lavoro li reputo molto validi. Di seguito un estratto di uno dei progetti di educativa di strada che ho scritto tanti anni fa in cui spiego le fasi e i punti cardine di questo lavoro.

Premessa

L’educativa di strada è un’attività rivolta a gruppi spontanei di adolescenti e giovani nei  luoghi di ritrovo. E’ finalizzata a costruire una relazione significativa tra di loro e con gli educatori e a far emergere idee, bisogni, risorse che consentano di attivare azioni  protettive e ridurre i fattori di rischio.

Caratteristiche importanti dell’educativa di strada sono:

la prossimità

in quanto si caratterizza per operare soprattutto nei luoghi di vita delle  giovani generazioni e più in generale delle persone, utilizzando un approccio comunitario,  mettendo la relazione al centro del proprio intervento, essendo trasversale, cosi come  previsto dalle linee di indirizzo regionali in tema di prevenzione e di contrasto del  consumo/abuso di sostanze stupefacenti e psicotrope.

la metodologia induttiva

come modalità di un lavoro che parte dal basso garantendo il coinvolgimento diretto dell’utenza (giovani, adolescenti, adulti significativi che operano con i giovani e associazioni) nella progettazione, nell’organizzazione e nell’attuazione dei progetti.

Nell’ambito degli interventi di strada le fasi che caratterizzano il processo di lavoro con i  gruppi informali di adolescenti sono, di solito, quattro: mappatura, contatto,  consolidamento della relazione e realizzazione di micro-progettualità.

Nello sviluppo  temporale degli interventi, capita di frequente che le diverse operazioni si sovrappongano,  realizzandosi almeno in parte contemporaneamente.

FASI DI LAVORO CON I GRUPPI

1. Mappatura

Realizzare la mappatura di un territorio significa innanzitutto ricostruire i “profili” della comunità: il profilo territoriale, il profilo demografico, il profilo economico, il profilo istituzionale e dei servizi.

Sono queste le prime “fotografie” della realtà territoriale che consentono agli operatori di comprendere quale sia lo scenario di fondo nel quale sono chiamati ad intervenire. E’ utile in particolare recuperare informazioni e dati quantitativi su alcuni fenomeni che possono avere per protagonisti gli adolescenti del territorio: abbandoni scolastici, casi seguiti dai Servizi socio-sanitari, consumatori di sostanze conosciuti dal Ser.T., denunce e segnalazioni alle forze dell’ordine per microcriminalità ed atti vandalici, ecc.

Contemporaneamente alla ricerca di queste informazioni può iniziare il lavoro di osservazione-ricognizione sul campo, mirato a costruire una mappa attendibile delle aggregazioni spontanee di adolescenti.

Percorrendo le strade in diverse ore della giornata e nei diversi giorni della settimana ed effettuando uscite ripetute in fasce orarie diverse (prima di cena, dopo cena, al pomeriggio e di mattina), è possibile verificare in modo sufficientemente attendibile la presenza effettiva di gruppi e la loro stanzialità.

Già in questa fase iniziale del lavoro in strada è utile che gli operatori, oltre che dotarsi di opportuni strumenti di rilevazione (come una scheda di osservazione dei gruppi informali, da compilare a seguito delle varie ricognizioni effettuate in ore e giorni diversi sul territorio).

Allo stesso modo è importante che gli operatori possano rendersi consapevoli delle proprie rappresentazioni e dei propri stereotipi (positivi o negativi) rispetto agli adolescenti e, in particolare, alle loro forme di aggregazione spontanea; sono queste infatti le “lenti”, attraverso le quali chi lavora in strada osserva e legge i fenomeni che vi avvengono, che possono “distorcere” in maniera più o meno forte gli avvenimenti con ricadute a volte negative sul futuro rapporto tra operatori e gruppi.

L’allenamento e l’abitudine, acquisiti mediante il lavoro in équipe, a tenere conto dei propri modi di vedere possono tornare estremamente utili agli operatori lungo tutta la fase della cosiddetta mappatura cognitiva, che procede parallelamente al lavoro di ricognizione ed osservazione dei gruppi.

L’obiettivo principale di questo momento di lavoro infatti è quello di ricostruire da un lato le rappresentazioni che i vari soggetti del territorio (opinion-leaders, testimoni privilegiati, operatori grezzi) hanno delle aggregazioni informali giovanili, dall’altro (a mano a mano che nasce e si sviluppa una relazione con le compagnie) le percezioni ed i vissuti degli adolescenti dei gruppi informali rispetto al mondo adulto ed istituzionale.

In particolare può tornare utile agli operatori la rilevazione di quei pregiudizi e di quelle stigmatizzazioni reciproche che, se esistono, spesso incentivano la fisiologica conflittualità esistente tra adulti ed adolescenti, tra mondo formale e mondo informale, costituendo talora un serio ostacolo allo sviluppo di relazioni significative e utili per i vari soggetti che vivono nel territorio.

Il materiale raccolto, solitamente attraverso un sistematico lavoro di interviste a queste persone, costituisce una buona base di partenza per tracciare il primo abbozzo di una mappa-delle relazioni esistenti tra i vari destinatari dell’intervento e per definire con maggior precisione alcuni obiettivi del lavoro di strada, una finalità del quale può essere proprio il miglioramento della qualità dei rapporti all’interno della comunità nella quale il progetto opera.

2. Primo contatto (aggancio)

Il lavoro di mappatura relazionale, mirato non solo a riscontrare i legami esistenti tra i gruppi naturali e gli altri soggetti, ma anche a rilevare quali siano e come evolvano i rapporti all’interno dei gruppi e tra i gruppi e gli operatori, inizia solamente dopo che si sono sviluppati i primi contatti con le compagnie di adolescenti.

Questa è una delle fasi più delicate ed impegnative dell’intero percorso di lavoro; la costruzione di una relazione significativa è la premessa indispensabile dalla quale dipendono le possibilità di realizzare o meno con questi gruppi un percorso che non può essere mai imposto ma solo costruito attraverso la negoziazione tra operatori ed adolescenti.

Le strategie che possiamo utilizzare per tentare il primo approccio sono sostanzialmente di due tipi: dirette o indirette.

Diretta: ci si presenti esplicitamente come “operatori di strada”. e si esplicita che si sta realizzando un lavoro di ricerca coni giovani, a seconda delle reazioni poi si vede quanto e quanti si riescono a coinvolgere e a che livello, sempre negoziando ed essendo molto sinceri e mai giudicanti; gli operatori diventano un mezzo per i ragazzi per dire qualcosa rispetto al tema del progetto ossia legalità convivenza, ma ancor prima diritti umani e sull’educazione civica in senso “mondiale”.

Le strategie indirette, forse più indicate laddove si avverta un clima di elevata diffidenza da parte del gruppo nei confronti dell’esterno, prevedono un ruolo di mediazione tra operatori e gruppo, quello cosiddetto del “portinaio”, che può essere svolto sia da un componente del gruppo Stesso – che, innescando un processo “a carambola”, consente di contattare uno dopo l’altro gli altri membri della compagnia – o da un soggetto esterno, anche adulto, il quale goda della fiducia degli adolescenti e possa fare da garante per gli operatori.

A fronte dell’indubbio vantaggio rappresentato dalla “morbidezza” e dalla gradualità di questa strategia di approccio, essa presenta però il limite della difficoltà o, a volte, dell’impossibilità di individuare il portinaio “giusto”, specie in presenza di gruppi particolarmente isolati o stigmatizzati.

3. Consolidamento della relazione

Superato lo scoglio del primo contatto solitamente si apre un’altra fase molto delicata ed interessante nel lavoro con i gruppi. E’ un momento di studio reciproco, che può anche sfociare in un mancato aggancio o in una chiusura del rapporto anticipata rispetto ai piani degli operatori, durante il quale, spesso in modo inconsapevole, il gruppo e gli operatori si mettono reciprocamente alla prova e, così facendo, pongono le premesse per la crescita della relazione.

Agli operatori di strada spetta dunque il non facile compito di saper tollerare non solo i propri dubbi ma anche quelli del gruppo, spesso manifestati attraverso le piccole-grandi sfide e provocazioni che molte volte rappresentano il linguaggio preferito degli adolescenti: mancare ad appuntamenti concordati, mettere alla prova la “tenuta” e la capacità di contenimento, ma anche di rispetto dei confini, degli operatori, aggredire verbalmente, minacciare lo scontro fisico, provocare mediante l’uso di sostanze, ecc.

Attraversare queste esperienze, fa in modo che la relazione tra operatori e gruppi si rafforzi sempre più, magari proprio perché il gruppo comincia man mano ad avvertire che può fidarsi di questi “intrusi”, capaci di reggere, di “contenerlo” e di essere al tempo stesso discreti e rispettosi.

Group of people sitting on a staircase outdoors, close up on low section body - Multiracial friends talking and having fun on a meeting outdoors
Group of people sitting on a staircase outdoors, close up on low section body – Multiracial friends talking and having fun on a meeting outdoors

Per gli operatori diventa estremamente importante “saper stare al proprio posto”, senza cedere alla tentazione di sostituirsi ai ragazzi magari con la messa in pratica di loro idee, ma lavorando invece perché emergano appieno, oltre ai desideri, anche le competenze e le risorse del gruppo e mantenendo così continuità ed intenzionalità nel proprio intervento educativo.

Accompagnare in questo modo degli adolescenti in simili, sia pur limitate, esperienze può produrre significativi mutamenti sia nella qualità e nel clima dei rapporti tra essi e gli operatori, come aumento della fiducia e della stima reciproca, sia tra i ragazzi in termini di crescita del protagonismo, rispetto ai propri bisogni/desideri e all’utilizzo del proprio tempo, e della capacità di valorizzare le potenzialità cognitive, affettive e relazionali del gruppo.

Questo percorso consente anche di rompere alcune stereotipie e rigidità comportamentali e di sperimentare nuove modalità e possibilità di relazione all’interno della compagnia e nei rapporti del gruppo con l’esterno.

4. Micro-progettualità

Per riconoscere un’evoluzione significativa della relazione operatori-gruppi un utile indicatore può essere rappresentato dalle richieste di “consulenza” e di “supporto”, più o meno dirette, che possono essere rivolte dagli adolescenti per le questioni più svariate: da quelle affettive alla ricerca di lavoro, dalle esperienze con le sostanze alle difficoltà scolastiche, dai rapporti con i familiari a quelli all’interno del gruppo. Anche in questi momenti è importante che gli operatori riescano a definire e rispettare i limiti del proprio ruolo all’interno della relazione, evitando di proporre legami di dipendenza o a carattere assistenzialistico per puntare invece a rinforzare e a promuovere le risorse dell’interlocutore, singolo o gruppo.

Il lavoro di strada con i gruppi, l’essere cioè fortemente connotato da un ascolto non giudicante, dal rispetto di ritmi, codici e valori e dei cosiddetti destinatari dell’intervento, da una costante attenzione a far emergere i bisogni reali degli adolescenti e a promuoverne il protagonismo, impone agli operatori di strada di non predefinire rigidamente programmi e iniziative ma di costruire con i ragazzi stessi le micro progettualità di volta in volta più adeguate per essi e, quindi, originali, accettando sia la fatica di misurarsi con l’eventualità di dover rivedere i propri obiettivi sia l’incertezza rispetto ai loro tempi di realizzazione.

In questo modo diventa possibile offrire agli adolescenti del gruppo un modello diverso di relazione con il mondo adulto, non più caratterizzata esclusivamente dallo scontro o dall’impossibilità di comunicare (così di frequente lamentata da parecchi adulti quando si parla di difficoltà nei rapporti con gli adolescenti), ma significativamente “alternativa”, anche perché frutto di un “pezzo di strada” fatto assieme. Sperimentare, mediante quella specie di “laboratorio” che viene ad essere la relazione con gli educatori, una diversa possibilità di rapporto può talvolta avere delle ricadute positive anche sulle abituali relazioni che il gruppo vive con il mondo adulto o istituzionale e ‘viceversa.

Un primo importante aspetto di questo percorso è quello dell’imparare ad osservare ed ascoltare senza giudicare, e comunque acquisendo consapevolezza dei propri stereotipi, i fenomeni che avvengono in un territorio, in particolare quelli che vedono tra i protagonisti principali gli adolescenti ed i giovani con le loro aggregazioni informali.

Altro atteggiamento fondamentale è quello legato alla capacità di riconoscere la positività dell'”informale”, rispettandone le caratteristiche e promuovendone le potenzialità.

In quest’ottica diventa estremamente utile saper “perdere tempo” con i ragazzi, riuscire a rimanere fuori dalla logica eccessivamente rigida del servizio strutturato o dell’iniziativa preconfezionata, a non predeterminare rigidamente i percorsi ed i progetti, e ad essere invece disponibili alle novità che possono prodursi nella relazione con gli adolescenti. Allo stesso modo è importante costruirsi una credibilità e conquistarsi sul campo la fiducia degli adolescenti, evitando le “scimmiottature” che tentano di negare le differenze esistenti o fanno sorgere fantasie di manipolazione, rivelando il proprio interesse per le persone senza cadere in eccessi di coinvolgimento o in confusioni di ruolo, tollerando incostanza ed ambivalenze anche sapendo ribadire confini che contengano e rassicurino chi sta ancora faticosamente costruendosi un’identità nel proprio percorso di svincolo dalla famiglia d’origine.

Anche rispetto alla possibilità di realizzare micro progetti sui temi del bando è importante la formazione degli Operatori e le loro capacità di tenere alto il livello di protagonismo attivo dei ragazzi, ma contemporaneamente essere concreti e reali su ”cosa si può fare e cosa non si può fare” questo a livello tecnico, a livello pratico e a livello morale, legale.

Ciò che deve passare, nella relazione tra operatori e gruppi informali, è un messaggio di ”verità” nel senso di aderenza alla realtà.

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