Integrazioni Funzionali – Metodo Feldenkrais –

feldenkrais e autismo

Integrazioni funzionali – Feldenkrais. In questo articolo vorrei provare a raccontare una esperienza. Vorrei condividere le mie sensazioni in varie occasioni, di come il metodo Feldenkrais abbia dimostrato la sua straordinaria forza.

Immaginiamo di essere in un ambiente sostanzialmente formale, come può essere quello della scuola al giorno d’oggi. Immaginiamo di avere a che fare con bambini interessati da manifestazioni dello spettro autistico.

In questi ambienti, da una parte, ci sono protocolli, procedure, riunioni, carte da riempire, dall’altra ci sono bambini (o come impersonalmente vengono chiamati, utenti) ed educatori.

Mettere al servizio dell’utente (vedete che effetto di distacco crea questa parola) le mie esperienze pregresse, in questo caso extracurricolari, non è stato facile. Ho fatto tutto quasi con timidezza, a piccolissimi passi. Ma alla fine del percorso ricordo in maniera indelebile le conquiste motorie di questi ragazzi. Ricordo ancora di più i loro occhi, le loro espressioni e manifestazioni, che, seppur con una modalità comunicativa più imbrigliata come può essere nel loro spettro, erano in qualche modo grati, più consapevoli, felici.

Il Metodo Feldenkrais è un’esperienza di profonda conoscenza di sé, del proprio modo di apprendere e organizzare il movimento. L’insegnante guida e favorisce questo processo attraverso due possibili modalità: lezioni 1-1 Integrazioni Funzionali (1 insegnante 1 studente, abbreviato in IF), lezioni di gruppo (consapevolezza attraverso il movimento abbreviato CAM).

In questo caso, senza tante formalità, è stata utilizzata la modalità dell’Integrazione Funzionale.

Vi presento S.

Durante i primi mesi di scuola dell’infanzia un bimbo (che di seguito chiamerò S.) affetto da sindrome dello spettro autistico manifestava vari comportamenti problematici.

S., 3 anni, fisicamente molto forte e ben organizzato a livello motorio, non era in grado di esprimersi a livello verbale. Durante i primi mesi di frequenza alla scuola dell’infanzia emetteva urli molto acuti, metteva in atto comportamenti come morsi, botte, calci, testate, lanci di oggetti di qualsiasi tipo. Saltuariamente incrociava lo sguardo dell’educatrice (ero Io) ma quasi mai intenzionalmente. Non era in grado di giocare con gli altri bambini, a volte condivideva nello spazio lo stesso gioco, riusciva a stare su un’attività specificamente preparata per lui con un lavoro motivazionale continuo. Mangiava molto e in modo autonomo (tranne i brodi che non gradiva), non era autonomo nel controllo sfinterico. Apprezzava il contatto fisico.

S. faticava a vivere i momenti di routine di gruppo, riconosceva gli spazi, e richiedeva di spostarsi prendendo per mano l’educatrice di sostegno, in poco tempo ha imparato a riconoscere la sequenza dei momenti della giornata.

Dopo tanti momenti di confronto con tutte le figure che fanno parte della rete che si occupa dei bimbi con questa diagnosi (psicologi, educatrice, insegnanti di sezione, psichiatra, logopedista, coordinatrici pedagogiche) nell’intento di creare per lui un ambiente positivo, le sue manifestazioni di disagio continuavano.

Col senno di poi i principali problemi inizialmente erano due:

  • c’era moltissima insofferenza da parte del resto della sezione rispetto ai comportamenti problema messi in atto da S. soprattutto in riferimento agli urli molto acuti e frequenti;
  • le varie figure esperte che ruotavano attorno al caso suggerivano strategie diverse ognuna con le proprie motivazioni legate al ruolo che ricoprivano, ma non è mai stato possibile vedersi e confrontarsi tutti insieme contemporaneamente per decidere una strategia comune (anche causa limitazioni covid).

Una lampadina si accende

A volte ci sono piccole cose che con semplicità sono in grado di accendere qualcosa nella mente di una educatrice.

Una mattina S. al suo arrivo, prese la mia mano e mi portò, verso l’ aula, allestita appositamente per lui e in cui di solito lavoravamo soli.

S. si diresse verso il bagno, prese la carta igienica e cominciò a fare tante listarelle lunghe.

Strumenti e tecniche: la musica, la voce.

Decisi di inserire un dettaglio non indifferente, una base di musica con l’arpa, lasciandola per un tempo abbastanza lungo.

Mi avvicinai a S. e lo imitai facendo anch’io delle striscioline con la carta igienica.

Cominciai a muovere la carta igienica accarezzandolo con la strisciolina, come una danza di avvicinamento.

S. lanciò qualche urletto, io mi attaccai con la mia voce al suo strillo acuto, per poi mantenere la voce fino a farla scendere del tutto. Si ripetè questa sequenza due o tre volte con la carta igienica, con la voce, oramai quelli di S. non erano più strilli.

Finalmente S. non strillò più, sembrava non averne più bisogno, anche nei giorni successivi.

Costruire il contatto corporeo usando l’empatia.

Continuai ad avvicinarmi a lui in modo cauto e intenzionale, attraverso la carta igienica, muovendola nell’aria fino ad arrivare a toccarlo con le mani in modo molto delicato.

Pian piano lasciamo la carta igienica e ci sediamo a terra su un tappeto. Io sono posizionata dietro ad S., lo avvolgo e lo abbraccio in modo da avere le sue gambe tra le mie gambe e il suo corpo appoggiato al mio. In questo modo posso sentire se si appoggia se si lascia andare.

Creare la situazione per lavorare col metodo Feldenkrais un bimbo con bisogni speciali.

S. si affida, e io tengo con la mia mano destra e la mia mano sinistra le sue rispettive mani. Comincio a lavorare la sua mano destra. Seguo le linee delle sue dita in modo lieve e delicato, lavoro l’estremità cercando di seguire ogni singolo ossicino e articolazione delle dita, della mano, del polso, dell’avambraccio. Cerco di muoverli delicatamente in varie direzioni per ampliare il movimento e collegare le varie possibilità di movimento di queste sue articolazioni.

Mentre lavoro, l’estremità destra, diventa sempre meno rigida e io immagino, di conseguenza, che lui possa avere meno scatti, meno impulsi che generano movimenti improvvisi ( quelli che solitamente si trasformavano in botte, calci, lanci incontrollati). I lanci di oggetti erano abitualmente molto forti, forse l’ unione di un azione che gli piaceva con un impulso nervoso tipico della sindrome da autismo.

Continuo a lavorare ogni millimetro della manina destra  di S, stimolando delicatamente attraverso il contatto per ammorbidire e collegare, facilitando quindi i collegamenti per avere un movimento più fluido, rilassato e con meno sforzo possibile.

L’estremità intese come mani e piedi hanno una forte rappresentazione nella corteccia cerebrale.

Immagine funzionale feldenkrais

Sulla corteccia cerebrale è rappresentato tutto il corpo. L’area che rappresenta le cellule nervose che innervano i muscoli, non è proporzionale alla taglia ma all’importanza delle parti del corpo che controlla. Le superfici che controllano la bocca e le labbra sono grandi e testimoniano l’importanza del linguaggio, come pure quelle deputate alle mani e alle dita, che rispecchiano la manualità dell’uomo. Invece le aree che comandano il tronco e il dorso, sono piccole, perché riflettono un uso e una specializzazione minore delle parti corporee precedenti.

Tina Broccoli

Sono entrata nel mondo di S. partendo da una lunga osservazione e mettendo in atto varie tecniche e competenze. Tutto il percorso è stato come una lieve danza fra me e lui accogliendo quello che S. faceva per poi farsi guidare (voce, carta igienica, contatto fisico) in un contatto fisico e quindi nell’Integrazione Funzionale.

Finita l’integrazione funzionale, io ed S. ci siamo seduti al banco uno di fronte all’altro per gli esercizi/giochi cognitivi.

Il cambiamento è possibile, la bellezza dell’ esplorazione e della scoperta.

S. prende una pallina (a lui piacevano molto le palline) con la mano destra.

Con lentezza, S. porta la mano con la pallina indietro verso la sua spalla destra piegando il gomito. Me la lancia piano, ben direzionata, controllando ogni piccolo movimento e, cosa BELLISSIMA, seguendo con i propri occhi ogni movimento della sua mano, polso, braccio, durante il lancio, come se fosse un’azione a rallentatore.

Assistere all’intensità di questo momento, è stato estremamente emozionante.

La completa immersione di S. nella scoperta di questa possibilità di movimento, e contemporaneamente l’ auto osservazione, la modalità di esecuzione, l’intenzionalità hanno reso quel momento magico.

Il sorriso soddisfatto di S, è un’immagine impressa nei miei ricordi in modo indelebile.

“Senza limiti di età o condizione fisica si impara a darsi il tempo di esplorare nuovi modi di

muoversi e di sentire il proprio corpo. Di percepire i propri limiti, cogliere le differenze, scoprire

nuove alternative al nostro agire abituale.”

Moshe Feldenkrais

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *