camminare

Prima di raccontarvi la mia esperienza legata al camminare vi invito, attraverso i collegamenti link inseriti, a leggere qualcosa scritto da professionisti.

Cosa succede al nostro cervello durante una camminata in natura?

Che una passeggiata all’aria aperta sia un toccasana è cosa nota. Le fughe in natura aiutano a rilassarsi, a ricaricarsi di energie, a tornare a casa con un bagaglio di sensazioni positive. Ma perché? Cosa succede al nostro cervello mentre camminiamo nel verde? La risposta arriva da uno studio condotto da un team di ricercatori del Max Planck Institute for Human Development di Berlino.

camminare

Una fragilità trasformata in risorsa

“Un passo alla volta mi basta” M. Ghandi

Abbiamo bisogno di più di un anno per imparare farlo. E quando siamo riusciti a stare in piede e a camminare, non ci pensiamo più e non ci sono più cambiamenti sulla nostra camminata.

Molti bambini dal momento in cui imparano a camminare non lo imparano a fare molto bene e poi se lo portano dietro. Altri che lo imparano bene per varie ragioni possono perdere questa abilità, questa correttezza nel camminare.

Io e la Distonia

La sindrome di Segawa si manifesta attorno ai 6 anni, inizialmente con problemi al piede sinistro per poi estendersi alla gamba, generando di conseguenza difficoltà motorie.

All’inizio è quasi impercettibile, poi peggiora sia nell’arco della giornata che del tempo, fino, a quasi non camminare più.

Ricordi…

D’estate i miei genitori erano molto indaffarati per il lavoro, e non avevano tempo per me.

Io ero, anche per forza, una bimba silenziosa e molto sedentaria. Così non rende. E’ più veritiero dire che ero una bimba handicappata. Mi muovevo poco perché non ce la facevo e quel poco mi faceva stancare subito. Durante l’estate ogni tanto venivano giù da Cesena, a Valverde dove noi stavamo d’estate per l’attività estiva, mia nonna Giulia e mia zia Gabriella.

Venivano apposta per stare un po’ con me. Mi portavano al mare. Mi prendevano a braccetto una a destra e una a sinistra per sostenermi. Mia nonna mi raccontava che io cadevo lo stesso. Io questo non lo ricordo. Ricordo solo che cercavo di mettere il piede dritto. Ricordo, con molta lucidità, che cercavo con la testa, col cervello, ora direi sistema nervoso, di guidare il movimento della mia gamba e piede sinistro. Ma non riuscivo.

Come ho già raccontato, sono stata molto fortunata perché dopo 4 anni di non risposte girovagando in tanti ospedali italiani, sono andata in Svizzera, e li un Super medico mi ha dato un farmaco che ha fatto si, che in un giorno, “tornassi normale”.

Io e lo Scautismo

Quando sono tornata a casa dalla Svizzera poco dopo sono entrata nel gruppo scout. E’ stata la mia salvezza. In quel gruppo ho potuto essere. Esistere. Anche se silenziosa. Anche se mi vergognavo di esistere. Anche se ero terrorizzata dal dover parlare/dire qualcosa ad alta voce. Anche se non correvo o meglio non correvo forte come gli altri.

Mi vergognavo del mio corpo nonostante non avesse più alcun problema apparente. Mi sentivo così, un po’ perché ogni adolescente si sente così, un po’ anche perché ero handicappata e io lo sapevo, anche se non era più evidente. Ero rimasta terrorizzata dall’idea di NON FARCELA. Forse per motivi in qualche modo collegati anche parlare mi terrorizzava.

Il desiderio e la volontà di voler fare una cosa e non farcela fisicamente era la mia esperienza. La sensazione di non potermi fidare del mio corpo è parte di me da allora. La paura di parlare di fronte agli altri, anche.

Ho recuperato tutta la capacità di movimento immediatamente, senza dover fare né interventi chirurgici (come avevano ipotizzato in Italia perché sembrava avessi una gamba più corta, schiena storta..) e neanche un giorno di fisioterapia. Appena ho potuto ho CAMMINATO e tanto.

Lo scautismo mi ha insegnato a fare strada nel senso letterario del termine e nel senso figurato.

camminare
Route cervino ghiacciaio clan Parsifal 1998

La motivazione ad esserci, il senso di responsabilità nel portare avanti l’esperienza scout, l’appartenenza al gruppo, la profondità delle esperienze condivise con i compagni di strada nei vari momenti e ruoli, hanno fatto si che “camminare” diventasse, passo dopo passo, un esercizio quotidiano che, terapeuticamente, mi connette con me stessa, col mio corpo, con la natura, con Dio, con gli altri e col mondo, quindi diviene uno stile di vita.

Se a livello emotivo, istintivamente, questa paura si ri-presenta ogni qualvolta io debba/voglia fare una camminata un po’ impegnativa, l’esperienza che ho fatto camminando negli anni successivi al mio decimo compleanno mi permette di ripercorrere in gran velocità il passaggio da: Non ce la faccio a ci provo anche se ho paura, a non sono sola quindi vado, a ce l’ho fatta.

tratto dall’Art. 10 del regolamento metodologico R/S AGESCI
STRADA
• camminare a lungo sulla strada permette di conoscere, dominare e superare i propri limiti e dà il gusto dell’avventura;
• portare a lungo lo zaino e dormire in tenda insegnano l’essenzialità vissuta non come privazione ma come capacità di vivere con quanto strettamente necessario, restituendo il giusto valore alle cose, consentendo di sperimentare la precarietà, che aiuta a riflettere sulle situazioni di povertà, di solitudine e di lontananza proprie di tanti fratelli;
• camminare nella natura è un momento privilegiato di incontro con Dio che è il Creatore di tutte le cose. La comunione con il Creato fornisce ai giovani l’occasione di sentirsi maggiormente corresponsabili verso l’ambiente;
• camminare con gli altri e incontro agli altri insegna la gioia di stare insieme, l’amicizia, la fraternità, la solidarietà e l’accoglienza;
• la strada aiuta a vivere momenti di silenzio nei quali è possibile pensare e riflettere sul proprio percorso personale di crescita;
• vivere la Spiritualità della strada permette di cogliere come le esperienze lungo il cammino siano doni di Dio che aiutano ad arrivare a Lui.
La strada è vissuta con continuità. Va progettata, preparata con cura, calibrata nel rispetto dei singoli, e con particolare attenzione alla disabilità.”

Io e il Feldenkrais

Come educatrice ho seguito varie formazioni.

Quella che ho portato a termine e mi ha cambiato la vita sia in termine di persone incontrate sia in termini di cambiamento nel modo di stare nel mondo è il lungo e profondo percorso Feldenkrais.

Nella mia storia è quello che mi ha permesso di mettermi in profondo contatto col mio corpo.

Alla fine del primo anno della mia formazione a Strigara (in totale 4 anni con 40 gg di frequenza all’anno) si verificò un’esperienza per me molto forte. Di seguito il racconto che ne feci allora:

11/08/2013

Ciao mia parte sinistra, finalmente ti ho incontrato, ti sento. Sento che ci sei. E che non vai. A volte non vai.
Sembra, in questi giorni, che tu non vada solo per il gusto di farti sentire, solo per attirare la mia attenzione. E’ una cosa nuova per me, è nuova soprattutto la mia risposta, non tanto la tua domanda. Sono qui, mi fermo, ti ascolto, ci sto, ti voglio sentire, bene o male, l’importante è che ci sei e ti sento, poi capiterà quel che deve. E’ successo qualche giorno fa questo cambiamento. Sono nella sessione estiva del mio primo anno di formazione Feldenkrais, come tutti gli studenti, avevo in programma un’integrazione con un insegnante.
L’ho fatta giovedì con Piero, iniziata normalmente, gli ho comunicato qualche difficoltà nella schiena, nella spina dorsale. Piero inizia a lavorare nella parte sinistra, nota degli scatti nel braccio, niente di esagerato, cmq io gli dico qualcosa della mia malattia, il fatto che prendo la dopamina da quando avevo 10 anni, gli descrivo brevemente la sindrome di Segawa, o distonia focale da l-dopa sensibile. Dal nome neanche lui sa di cosa si tratta, ma non serve capire, sapere. Lui ha capito, o percepito, sentito mentre mi lavorava la parte sinistra. Ha fatto il suo lavoro forse più sentendo la mia parte sinistra che ascoltando le mie parole. Ad ogni modo finisce l’integrazione, mi fa mettere seduta e poi in piedi. Brividi fortissimi. Formicolio nella parte destra. Ho la pelle d’oca ovunque. Sento un gran bisogno di camminare. Percepisco tantissima differenza tra la parte destra e quella sinistra. La parte sinistra estremamente più lunga, stesa rispetto alla destra. Cammino, cammino, cammino, con la stessa sensazione di quando avevo 10 anni e mi hanno dato la dopamina in Svizzera. Ho ricominciato miracolosamente a camminare bene. Potevo camminare, c’ero di nuovo tutta.

Mi sono commossa, anzi proprio non riuscivo a trattenere le lacrime e neanche a parlare dall’emozione, questo perché sentivo la mia parte sinistra, diversa dalla destra, quindi presente. La mia parte sinistra non è morta, non funziona bene, a volte si a volte no, in questi giorni è stato così spesso. Più volte ho sentito nella gamba sinistra le sensazioni che sento quando scordo la dopamina, ma in questi giorni sono sicura di averla sempre presa. Il passaggio grosso è stata quella commozione intrattenibile che significa Amore, accoglienza, come un cucciolo da difendere da proteggere. Questa è la grande novità e cambiamento in me. Ora posso sentire accogliere questa parte di me anche se non va, anzi soprattutto quando non va. Posso sentirla e fermarmi ad ascoltarla, è viva.
Mi viene in mente come immagine, quella del talamo, che ha spiegato l’altro giorno Eilat, la posizione nel cervello del talamo. E’ dentro, in mezzo, collegato, qualcosa di profondamente interno. Si diceva che il Sistema nervoso perfetto è quello che non sappiamo di avere, non lo sentiamo perché tutto risponde bene.
Ecco, il mio non è perfetto, a volte non funziona, lo sa solo Dio quanto ho cercato di dominarlo dai 6 ai 10 anni quando volevo camminare bene ma non ce la facevo, anzi sempre peggio; e quanto ho cercato di cancellarlo dalla mia mente dopo, quando la dopamina miracolo ha cancellato il mio problema, la dopamina mi ha reso normale, ha cancellato lo sbaglio e io ho cancellato ciò che non va, il mio S.N., fino a giovedì quando dopo l’integrazione sentendo così forte la differenza fra destra e sinistra mi sono commossa così tanto, come una mamma con suo figlio appena partorito in braccio, fa parte di me, c’è esiste, come è E’. e allora, proprio quella mattina, dopo l’integrazione, ho vissuto la possibilità di non essere perfetta, posso sentire, osservare, guidare gli altri, anche se non sono perfetta. Ho sentito che volevo fare l’esperienza di guidare una CAM. Non certo perché mi ricordo cosa devo dire o cosa devo fare e perché, e non certo perché ho capito, ma fino a quel momento quando ci dicevano di fare nei gruppi questo tipo di esercizio, mi vergognavo, preferivo sparire in tutti i sensi, riuscivo a fare solo e sempre l’allieva.
Questa mattina no. Avrò il mio modo di sentire, il mio cervello lavora lo stesso, anzi forse di più.
Forse ha sempre dovuto lavorare di più per compensare queste mancanze, quindi va bene, POSSO ESSERCI, PER ME E PER GLI ALTRI.
Grazie Piero per l’integrazione e grazie a Tina che mi ha permesso di essere qui.

Attraverso questo metodo ho appreso una modalità di apprendimento che passa attraverso l’ascolto attento di sé nel movimento per poi esplorare le varie possibilità di cambiamento.

Questa esperienza permette di sentirsi meglio fisicamente ed emotivamente nel mondo. E’ altresì propedeutica in tutti gli aspetti della vita, perché il processo che porta al cambiamento in un movimento è un processo che il sistema nervoso apprende e che quindi applicherà a ricaduta su vari processi.

Con questa consapevolezza l’esperienza del camminare diventa ancora più ossigeno per me.

Portare attenzione e riuscire a percepire, mentre cammino, al movimento che metto in atto in ogni millimetro del corpo, al respiro, allo sguardo; immaginare le possibilità di movimento del mio scheletro, sentire le possibilità e i limiti è una esperienza che in qualche modo rende tutto possibile.

Durante il percorso per diventare insegnante Feldenkrais, questo si sperimenta. Capita di non riuscire a fare un movimento, per qualsiasi motivo (per organizzazione, per un incidente, per una malattia, per un dolore infiammatorio o semplicemente perchè siamo organizzati così). Di solito non si ha consapevolezza di ciò che muoviamo. Ci accorgiamo solo di ciò che non riusciamo a fare come risultato finale ad esempio non riesco ad alzare il braccio destro, non riesco a flettermi bene per allacciarmi le scarpe, ..

Una lezione di CAM è costituita da una serie di movimenti correlati tra di loro, che portano poi a una sequenza completa. Ognuna di esse è strutturata in maniera da portare la persona ad avere una percezione diversa, e una comprensione senso-motoria maggiore, di ciò che avviene quando ci si muove. Se nel percorrere questa sperimentazione una persona non riesce a fare un movimento può provare ad immaginarlo. Nella maggior parte dei casi, sperimentare con l’ immaginazione, un piccolo movimento, migliora l’effettiva possibilità di farlo.

Molti dei nostri movimenti sono limitati dalle nostre abitudini, spesso inconsce. Il portare a livello di consapevolezza le nostre limitazioni, ci permette di oltrepassarle. È importante ripetere i movimenti secondo il proprio ritmo, prendendosi tutto il tempo necessario per esplorare. Moshè Feldenkrais era solito invitare le persone a:”andare lentamente per imparare in fretta “.

 Le pause di riposo, all’interno di una lezione di CAM, sono fondamentali, non tanto per recuperare uno sforzo che non dovrebbe esserci, ma per raccogliere tutte le informazione circa i cambiamenti avvenuti, per percepire i diversi movimenti, ad esempio quelli della respirazione , quando semplicemente si giace sdraiati sulla schiena e sul pavimento, per sentire la differenza, quando sono neutralizzati i nostri schemi antigravitari..

 Per poter imparare a cambiare il nostro modo di muoverci, è indispensabile muoversi lentamente, gentilmente, con la curiosità diretta al COME, alla QUALITA’, anziché alla quantità. Senza agonismo, o sfide con se stessi, o con altri.

“Ognuno di noi parla, si muove, pensa e sente emotivamente in un modo personale che dipende
dall’immagine di sé stesso che ha costruito negli anni. Per cambiare il modo in cui ci
comportiamo e agiamo dobbiamo cambiare l’immagine che portiamo dentro di noi.”

Moshe Feldenkrais

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